Nan De Boulland, The Tudors, rating verde

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me?anneboleyn
view post Posted on 8/5/2011, 22:27




“Bella non siete davvero”, sentenziò lo zio Howard, dall’alto della sua palese avvenenza. “Però avete dei tratti notevoli. Gli occhi, per esempio”.

Mi congedò con un gesto della mano.
Io sprofondai in un inchino impeccabile, ma lui guardava altrove.



“NAN!” Due zampe pesanti mi si abbatterono sulle spalle. Mi voltai di scatto, i pugni sui fianchi.
“Giorgio! Non adoperate mai più quel nomignolo!”
Lui era lì, il mio fratellino, scodinzolante come un cucciolo. Mi offrì il braccio e lo accettai. Camminammo.
“Quel rettile sta tramando qualcosa, me lo sento”
“Giorgio!”, sibilai, saettando attorno uno sguardo ansioso. “Lo zio è duca di Norfolk e siamo a Corte. Persino le mura hanno orecchi, qui.”
“E lingue affilate, se è per questo. Persino io sono stanco di sentir chiamare nostra sorella Gran Putain”
Scossi la testa. Puledra Inglese alla Corte di Francia, Gran Putain qui.. Maria si dava fare, poco ma sicuro.
“E’ incinta”, interloquì Giorgio, in tono neutro.
“Di suo marito?! Il tonto?!” Risi.
Lui esitò. Poi, lo disse: “Del re, Anna”
Il braccio che avevo intrecciato al suo ricadde. Lo guardai, i miei sentimenti così chiari negli occhi che mio fratello, una volta tanto, rinunciò all’umorismo. Mi parlò anzi con grande calore. “Non preoccupatevi, cara: a Enrico non serve un altro bastardo.”



“Non da una donna sposata, Maria. Il re ha già il bastardo della Blunt, della cui paternità è più che certo”, ci informò nostro padre, benché lo fossimo tutti quanti e lui lo sapesse perfettamente. “Non riconoscerà mai un bambino che invece potrebbe essere un Carey. Dovete liberarvene.”
Mia sorella lo guardò, aggrinciando il labbro superiore. Conoscevo quello sguardo. “No”
Papà scattò. “Coosa?! NO?! A VOSTRO PADRE?! Non capite che perderete il favore del re?!”
Il mento di Maria tremò, gli occhi che si riempivano di lacrime. Sapevo bene anche di quello. “Siete voi che non capite! Padre! E’ il mio bambino!”
Giorgio mi guardò, tradendo l’impazienza. Gli feci cenno di tacere.
“Ma quale bambino?! QUALE?!” Tommaso Bolena si avventò su mia sorella, tirandola in piedi senza alcun garbo. “Voi sistemerete quest’impiccio e tornerete nel letto di Sua Maestà senza un fiato, siamo d’accordo?! Dovessi farvi abortire io a calci!”
Scagliò la figlia in un angolo, come un osso ai cani. Lei strillò, rompendo in singhiozzi.
Nostro padre arretrò di qualche passo, portandosi al centro della sala. Ci guardava, paonazzo. “E DA VOI NEANCHE UN FIATO! CHIARO?!”



Lestamente mia sorella si rimise in piedi, le lacrime già asciutte sul volto. Torsi un angolo della bocca in direzione di Giorgio, anche lui la conosceva bene.
“Vecchio bastardo”, sibilò Maria, riempiendosi un calice di vino.
“Non dovreste parlare così di papà”, la stuzzicò nostro fratello.
“Oh, smettila!”, fu la pronta reazione. “Non sei tu che si diverte ad infilare nei letti degli uomini, a questo pensi già da te!”
“BASTA!”, gridai. Detestavo quelle allusioni alle inclinazioni di mio fratello. Per quanto mi riguardava, erano affar suo. “Vi prendete troppe libertà, Maria. Anche se siete la prima sgualdrina d’Inghilterra”
Lei marciò su di me, il volto ch’era un distillato di cattiveria. Mi preparai a parare uno schiaffo che non venne.
Mia sorella sorrideva. “Anche voi, Nan. Benché siate l’ultima.”
La schiaffeggiai io, forte. Maria si volse con un ringhio e mi restituì il colpo, ci artigliammo per i capelli, strappandoci i vezzi di perle dall’acconciatura, mentre nostro fratello faceva del suo meglio per dividerci. Finché rovesciammo un tavolino con sopra una dozzina di calici di vetro smerigliato, un ricordo di nostra madre.
Il vetro andrò in frantumi, inzuppando il tappeto di un vino speziato che aveva il colore del sangue.



La odio, seguitavo a ripetermi, rigirandomi tra le lenzuola. Non era che una litania per darmi forza, sicché in realtà la invidiavo e lo sapevo, da sempre. Le invidiavo la bellezza convenzionale che mi difettava, lei era bella ed io insolita, per tutti, anche per Papà – soprattutto per Papà.
Papà.
Era la mia unica debolezza, insieme a Giorgio. Ma se mio fratello ricambiava il mio affetto senza riserve, per lui ero solo la seconda figlia, per giunta femmina, per giunta insolita, un pacco ordinario senza una collocazione precisa. Da bambina non mi aveva lesinato il suo affetto però poi, lenta ma inesorabile, Maria si era piazzata al centro della scena, spingendomi da parte. E adesso, finalmente, era venuto il momento di renderle il favore.



“Voglio aiutarvi”, esordii, scostando il drappo che dava accesso alle stanze di mia sorella. Lei stava piluccando svogliatamente un grappolo d’uva. “Voi?”, alzò un sopracciglio, con un’aria di sufficienza tanto odiosa che l’avrei uccisa. Mi trattenni. “Si, io. Firmando con il nome di nostro padre ho scritto a William Carey ch’egli vi rimanda nei suoi appartamenti, ricordandogli i suoi doveri di marito eccetera eccetera.” Le porsi la lettera, il sigillo dei Bolena in piena vista. Maria si tirò su a sedere, senza poterlo credere. “Voi! Voi una falsaria! Come siete riuscita..”
Feci spallucce, determinata a non svelare il coinvolgimento di Giorgio, che mi aveva procurato l’aiuto di un giovane tanto abile con la penna da riprodurre perfettamente la calligrafia di nostro padre. Si chiamava Thomas Wyatt.
Ficcai la lettera in mano a mia sorella, che era rimasta inebetita a contemplarla. “Con questa vi presenterete a quel tonto che avete sposato. La gravidanza non si vede ancora, confido che saprete convincerlo che è opera sua.
E conoscendovi vi ci divertirete, persino.”



Il corridoio si allungava all’infinito dinnanzi a me. Ad una biforcazione fui afferrata per le braccia e spinta sulla destra, le spalle al muro. La presenza di spirito per cui ero nota, a casa, non mi venne meno. Non gridai.
“Sir Wyatt!”, riconobbi invece, in un sussurro.
“Lady Anna. I vostri occhi hanno il colore del mare dov’è più fondo”
Li levai al soffitto, gli occhi. La corte di Francia mi aveva abituata a quelle smancerie.
“Qual è quella parola che mai cambia, pur venendo divisa e rovesciata?”
“Anna!”, esclamai, sorpresa. Mi venne da sorridere e sì, gli sorrisi. “Siete abile con le parole, per essere un falsario”, mi ripresi.
“Sono un poeta. Per campare, purtroppo, si fa quel che si deve”
Si avvicinava qualcuno.
Wyatt mi spinse in un anfratto del muro, dietro un arazzo enorme. Nello spazio angusto inalai il suo odore di cuoio e di cavalli, un’ aroma che da sempre associavo agli uomini della mia famiglia.
Catturammo un brandello di conversazione.
“Vi dico che il re è stanco di Maria Bolena, non vi sarà difficile infilarvi nel suo letto.”
“Il Duca di Suffork!”, suggerì Wyatt. Sapevo di lui che sua maestà lo teneva in gran conto, ma non l’avevo mai incontrato.
L’altra voce, indubbiamente femminile, si levò tanto flebile che distinsi appena un’esitante: “Ma Milord, non tenete conto di tutte le bellezze che risiedono a corte..”
“Chi è?”, sussurrai, curiosa.
Il poeta mi baciò le labbra, con uno schiocco. Lo fece ruotando il capo nella mia direzione, perché apparisse involontario. Naturalmente non lo era. Dovevo schiaffeggiarlo? Il duca e la sua misteriosa accompagnatrice erano passati oltre, potevo schiaffeggiarlo. Invece, gli cercai le labbra con le mie, permettendogli di esplorare la mia bocca, la mia lingua.. la sua sapeva di vino speziato. Chinai il capo, prendendo fiato.
Lui, le labbra premute sulla mia fronte, sorrideva. “Mai stata baciata.”



Balzai fuori dal nascondiglio più rapida d’un furetto, rossa in viso. Alla fine l’avevo schiaffeggiato. Perché marciavo a testa bassa, il cuore che minacciava d’uscirmi dal petto, urtai qualcuno.
“Pardon, Lady Parker.”
“Sono Jane Seymour”
“Scusatemi”
E passai oltre, incapace di pensare.

Se avessi pensato, invece, avrei riconosciuto nel belato di quella pecora scipita la voce che avevo udito rispondere al Duca di Suffork, cosa che probabilmente avrebbe cambiato il corso degli eventi, mia Elizabeth. Ma allora ero solo Nan De Boulland, una ragazza sciocca.

Alla fine del corridoio si apriva il monumentale salone dove consumavamo i pasti. Sua Maestà prese posto alla Tavola Alta e sedemmo, io confusa tra i cortigiani minori. Un paio di gambe maschili scavalcò abilmente la panca e mi trovai accanto Thomas Wyatt.
“Che fate qui?!”, sibilai, e sorrisi amabilmente alla zia Howard, che mi fissava dalla Tavola Alta con il cipiglio del cerbero che era.
“Gusto un ottimo vino e la compagnia della dama più graziosa di Corte”
“Andatevene!” Individuai senza difficoltà la mia nutrice, che avanzava a labbra serrate. “Thomas, andatevene..”, supplicai. Ma era già scomparso.



“Mi aspetto da voi maggior accortezza”, ammonì Agnes, mentre mi aiutava a infilare la camicia. “A banchetto c’è tanto fracasso che ogni cosa sembra passare inosservata, invece una ragazza da marito non lo è mai, milady, dovreste saperlo. Vostra zia Howard stava per esplodere, quando vi ha vista accanto a quel uomo.”
“Quale uomo?”, s’intromise mio padre. Non bussava mai prima di entrare, un’abitudine insopportabile. “Ho chiesto quale uomo, Anna”, insistette. Infilai la vestaglia e ne incrociai i lembi restando a braccia conserte, un gesto che apparteneva a mia madre. “Un curioso che mi ha posto una domanda inopportuna, papà. Me ne sono liberata immediatamente.” Mio padre spostò lo sguardo sulla mia nutrice, rasserenandosi in volto quando lei assentì. Quella mancanza di fiducia mi offendeva, ma per la prima volta ero in torto. Tacqui, attendendo un’ammonizione. Al suo posto venne qualcosa che non potevo neanche immaginare. “Vostro zio vi ha un trovato un marito, Anna. Siete promessa a James Butler.”



“James Butler?! Ecco cosa stava tramando, quel serpente!”
Non era l’ora di ricevere e meno che mai nella mia stanza privata, anche se si trattava di mio fratello. Ma la sua costernazione rendeva giustizia alla mia.
“In Francia si malignava che suo padre fosse capitano di ventura”, lo informai, la gola stretta.
“Questo non lo credo. Ma ha arraffato tutto quello che possiede a scapito dei suoi stessi fratelli, a quanto dicono qui. Qualcuno ci ha anche rimesso la pelle.”
Torsi un angolo della bocca. Per questo papà mi aveva riportata in Inghilterra, dopo la visita del re in Francia: per il figlio di un tagliagole irlandese. E io che credevo mi volesse con sé, dopo tanti anni.. strinsi il bracciolo della sedia, ricacciando indietro le lacrime.
“Gli irlandesi guardano a Butler come a una guida e lo zio Thomas, come sapete, è Governatore d’Irlanda”, puntualizzò mio fratello.
“E quale vincolo migliore di un matrimonio per cementare un’ alleanza?”, conclusi al posto suo. “Ma intende tener fuori nostra cugina, perché si aspetta di spenderla meglio. In fin dei conti è sua figlia.”
“E una Howard”, suggerì Giorgio, ammiccando.
Concordai. Il parentato di mamma aveva fatto si che crescessimo ben consci dell’onta della famiglia quando lei aveva sposato papà, Sir Tommaso Bolena, all’epoca nessuno o quasi. “Dunque tocca a me”, ripresi, “la seconda figlia di un uomo che lo zio considera ancora un inferiore, nonostante sia da anni ambasciatore di Sua Maestà e candidato alla Tesoreria.”
“Non contarci, sulla Tesoreria. Papà sperava di arrivarci sfruttando l’ascendente di Maria sul re, ma lei evidentemente non ne aveva abbastanza. E non desidera averne affatto, a quanto pare.”
“Papà ha riposto la sua fiducia nella figlia sbagliata.” Proprio così, di questo si trattava. Ed io anelavo a dimostrarglielo. Avevo persino riprodotto un falso per riuscirci.
Mio fratello mi guardò, comprendendo finalmente il reale motivo del dolo in cui l’avevo coinvolto e condannandolo, la sentenza impressa a fuoco nelle pupille.
Scattai. “Allora?! Giorgio! Mi serve un’alternativa!”
Lui si alzò, pronto ad andarsene. “Non contate su di me, sorella.”



Per la serata successiva era previsto un intrattenimento all’aperto, in collina. Avevo pensato di eluderlo adducendo un mal di capo ma davanti ai gridolini d’aspettativa delle altre ragazze, che si affrettavano a gruppetti proprio sotto la mia finestra, capitolai. Sarei andata, in un abito cremisi che veniva dalla Francia. Il diniego di Agnes non poteva essere più fermo. “E’ pur vero che avete un bel seno, milady, ma perché ostentarlo?”, protestò, la fonte corrugata. “Tanto più che la regina Caterina e le sue dame saranno abbottonate sino al mento, vedrete.”
“E dovrei contentarmi di confondermi tra quelle cornacchie spagnole?”, la stuzzicai.
“Milady!”
“Non avete nulla da temere, Agnes. L’abito cremisi andrà benissimo.”
La toelette delle altre mi diede ragione, e largamente. Alcune dame erano tanto scollate che quando respiravano l’areola dei capezzoli faceva capolino dai corpetti. Io, con il mio abito francese, non mi avvicinavo nemmeno a tanta impudicizia. La fronte della mia nutrice si distese.
A sorpresa, un cavaliere parato da Robin Hood, con tanto di arco e frecce, ci invitò tutti quanti ad addentrarci nella foresta, dove il chiarore delle fiaccole illuminava un ampio spiazzo su cui attendevano tavole imbandite, musici e servitori. Una trovata di Sua Maestà il Re, brillante organizzatore.
Spiccava l’assenza della sua consorte.
“Un’altra gravidanza infruttuosa?”, malignai all’orecchio di mio fratello.
“Scherzate?! Il re preferirebbe venire a letto con me, a questo punto!”
“GIORGIO!”
Lui rise e vuotò un altro boccale, benché già palesemente ubriaco.
“Jane Parker vi mangia con gli occhi!”, gli feci notare.
Mio fratello si volse a guadarla, le sorrise, persino. Ma intanto sussurrava: “Non sono abbastanza ubriaco da potere, Nan, ditele che mi dispiace!”
“Le dirò che potreste, invece! Attraverso una coperta con un buco!”
Scoppiammo in una risata e Giorgio mi congedò con una robusta pacca sul di dietro, che accolsi con una smorfia divertita.
Ero contenta che fossimo ancora amici, nonostante la faccenda di Maria.
Volgendomi vidi che Jane Parker mi fissava con astio. In effetti, mio fratello ed io avevamo appena riso di lei, ma da quella distanza tra la musica e il chiacchiericcio non poter aver udito una parola. Ma aveva colto la direzione delle risa e la confidenza che albergava tra Giorgio e me, e l’una e l’altra, negli anni a venire, avrebbero alimentato l’odio. Con il senno di poi avrei potuto mitigare con qualche parola buona, mutando forse il corso degli eventi, mia Elizabeth. Ma allora ero soltanto Nan Boleyn, una ragazza sciocca ad un ballo.



La luce delle fiaccole concedeva ampi spazi ad una semioscurità densa d’intrighi, lazzi, pettegolezzi. Colsi qualcosa anche a proposito di me – E’ stata in Francia! - Che bel vestito, sarà francese? - Bisogna ammettere che ha gusto!
Evidentemente il caldo favoriva la seduzione, perché mi trovai ad adocchiare Enrico, proprio Enrico, anziché venerare tra le ciglia Sua Maestà il Re. Quel che vidi lo ricordo ancora: un uomo dalla sicurezza altera, giovane ma maschio, che sprizzava vigore da tutti i pori. Hanno ragione a dire che piace alle donne, pensai. Piacerebbe alle donne anche se fosse un lavapiatti.
Inutile precisare ch’egli si stava destreggiando con abilità tra dame vogliose e cortigiani leccapiedi, lo zio Howard in testa, e non si accorse neppure che lo stavo guardando, abituato com’era ad avere sopra di sé tutti gli sguardi.
In compenso avvertii prossimo un odore di cuoio e di cavalli e di vino speziato. Mi voltai, distinguendo nell’ombra il volto che trovavo squisito. “Thomas”, mormorai, indifesa.
“Milady. Un uomo come me non sarebbe neppure tenuto a levare lo sguardo su una donna come voi, ma io non posso farne a meno.”
Era vero. Saettai occhiate ansiose: George sghignazzava ubriaco, mio padre e i miei zii si accalcavano intorno a Sua Maestà, di Agnes neanche l’ombra. Thomas mi aspettava al limitare dell’oscurità. Mi volsi indietro. Papà stava porgendo al re una coppa di vino, sorridendo da un orecchio all’altro. Non potevo.
“Mi dispiace, Thomas.”
E raccolsi le gonne, affrettandomi verso le luci.



“E’ una fortuna che siate ricomparsa, milady”, tubò un ragazzone dagli occhi bovini, porgendomi una coppa. “Vi ho persa di vista un momento ed eccovi sparita.”
Si era presentato come Henry Percy, che fosse il figlio del conte di Northumberland lo sapevo da me. Contessa, riflettei. E a Corte, non certo in Irlanda. Accettai la coppa, con il sorriso enigmatico che avevo appreso da un quadro piuttosto famoso, in Francia.



“SIETE UNA STUPIDA!”, gridò mio padre, con voce altissima. Mia sorella ansimava, perdendo sangue dal naso. “Che siate tornata in questa casa è già abbastanza grave, ci mancava solo che quest’idiota annunciasse in pubblico la vostra gravidanza!”
William Carey ascoltava in piedi, rigirandosi il berretto tra le mani, nonostante papà avesse colpito Maria così forte da mandarla lunga distesa.
“Milord”, osò, con voce tremante. “Nella vostra lettera..”
“QUALE LETTERA?!”, ruggì papà, ed io per un attimo mi sentii mancare. Guardai mia sorella.
“Mi avete scritto, milord, di vostro pugno..” Carey si spostò ad uno scrittoio ingombro. “Non riesco a trovarla..”
“Smascherandovi da solo, da quel tonto che siete!” Mio padre batté il pugno contro la parete, con rabbia. “Me ne vado, prima di battere anche voi, genero! E voi che fate lì impalata, Anna?! Rimettete in piedi quella sciagurata di vostra sorella!”



“Siete stata generosa, Maria”, ammisi, tamponandole il naso con un fazzoletto. E, riluttante, mormorai un grazie. Mia sorella mi baciò la guancia, gettandomi nella confusione. Era il primo gesto d’affetto che ricordavo, tra di noi.
“Perché avrei dovuto mettervi nei guai, Anna? Mi avete salvata.”
“Salvata? Eravate la favorita del re...” E la prediletta di nostro padre.
“La Gran Putain, volevate dire. E una pedina nelle grinfie di papà.”
“Siete molto dura, con lui.”
“Avrete modo conoscerlo, Anna.
Ho tutte le ragioni per crederlo.”



Che diavolo avrà voluto dire?, rimuginavo, affaccendandomi nelle stanze di Caterina. Nella sua cappella privata, la regina pregava per avere un figlio maschio, nonostante fosse più vecchia di mia madre quando aveva partorito Giorgio. Con lei c’era il suo seguito spagnolo, scure ombre dalle lingue taglienti; nella stanza da pranzo, le risa dei mie colleghe inglesi. Le preferivo di gran lunga, anche se sapevo bene che non mi potevano soffrire.
Ad ogni modo le raggiunsi e trovai con loro Henry Percy.
“Lady Anna”, belò, guardandomi come un cane davanti a un osso.
“Milord”, m’inchinai.
“La vostra beltà rende vizzo il bocciolo più turgido”
E la tua dabbenaggine l’incenerisce!, ruggii tra me e me, mentre le altre ridevano. “Come può avvizzire una rosa in boccio, milord?”, tubai invece. E, con studiata eleganza, ne sfilai una da un vaso e gliela porsi, abbassando pudicamente lo sguardo.
Era una rosa vermiglia. Le mie colleghe smisero di respirare.
Henry Percy la prese delicatamente. “Un vostro pegno, milady?”, rantolò.
Senza levare lo sguardo, diedi alle mie labbra un cenno di sorriso e, volgendogli le spalle, mi avviai alla cappella privata della regina.



“Ave Maria, gratia plena..”, intonai per l’ennesima volta, soffocando uno sbadiglio. Ma perché mai bisognava pregare in latino?! Come se il Buon Dio nella sua infinita saggezza non conoscesse l’inglese! Come di certo ti avranno detto, mia Elizabeth, la strega Bolena si sarebbe adoperata parecchio per cambiare questa e tante altre cose...
Cose che allora non pensavo potessero essere cambiate, ma ero soltanto Nan De Boulland, un’inglese alla Corte di Francia, una francese a quella d’Inghilterra.



Era sul fondo della cappella, dritto come l’angelo che l’affiancava. Ed aveva, egli stesso, il capo ricciuto di un angelo, i lineamenti maschi in contrasto con le lunghe ciglia che frangiavano i grandi occhi, catturati dal martirio che era sulla Croce.
Chi sei?, domandò il mio cuore, accelerando i battiti. E poi disse non importa, disse le parole che erano di Ruth, ovunque tu andrai io ti seguirò. Ma egli fissava le piaghe vermiglie che lo scultore aveva inferto con un realismo crudele all’immagine di Cristo. Poi, improvvisamente conscio del mio sguardo, si volse e… i suoi occhi, immensi, cerulei... ovunque tu andrai io ti seguirò…
Una gomitata tra le costole mi riportò alla realtà. “Abbiamo finito, Boulland”, m’informò acida una dama spagnola, segnandosi. La imitai, e seguimmo Caterina verso l’uscita.
La regina si arrestò presso l’uscio, apostrofando l’uomo che aveva attratto la mia attenzione. “Non vi hanno annunciato, milord.”
Lui s’inchinò… non troppo, notai sorpresa. “Ho domandato io che non importunassero Vostra Maestà, ma non ho saputo evitare di unirmi alle Vostre preghiere. Non sono che un umile servo del Cardinale Wolsey.”
Il quale nutriva sentimenti antispagnoli, e Caterina lo sapeva. Ma disse: “La devozione di un buon cristiano non ci reca torto alcuno. Sarete il benvenuto qui, ogni qualvolta sentirete il bisogno del conforto di Nostro Signore.”
“Accetto con il cuore, Vostra Maestà, benché ritenga che Nostro Signore dimori in ogni angolo di questo mondo”
Un fremito inorridito, da parte di tutte le mie colleghe. Potevo leggere nei loro cervelli di gallina: è forse un luterano, vicario del demonio? No, serve un cardinale, per quanto al soldo dei francesi...
Io ero affascinata. Egli non parlava affatto come un servo, ma come l’angelo che l’affiancava. Aveva lasciato intendere che si poteva parlare con Dio anche al di fuori della dimora che la Chiesa gli aveva costruito, ma con parole che nemmeno il Papa stesso avrebbe potuto confutare. Non il Papa, e non certo quella scioccona di Caterina. Che infatti sorrise e passò nella sala attigua, seguita da noi tutti, il servo che parlava da dottore per ultimo.



Lui, Caterina e due spagnole insignificanti; noialtre fuori, immerse nel ricamo. Tra un punto e l’altro, spiavo tra le ciglia Emily Blunt. Bionda, le guance colorite, l’ovale perfetto... Non potevo somigliarle di meno. Neppure Maria, con le sue fossette e la sua lunga esperienza, era riuscita a scalzarla. Enrico non mi avrebbe mai notata, ma quell’imbecille di Northumberland era tutt’un’altra faccenda. E avrei fatto tutto da sola, lasciando papà ad accompagnarmi all’altare con un sorriso da un orecchio all’altro. Non potevo darmi a un falsario e L’Angelo… non aveva ritenuto nemmeno di dire il suo nome, tanto poco sapeva di contare. Un servo… eppure un servo istruito, in un severo abito scuro anziché in livrea… Un avvocato, forse? O Cielo, un cambiavalute... “Ahi!”
“Vi siete punta, Lady Boulland?”, domandò con sussiego la moglie dell’ambasciatore spagnolo. “Già al rosario eravate distratta… avete qualche giovinetto per il capo?”
Come se avessi dodici anni, imbecille! “Sono Lady Bolena, Lady Mendoza, ed è forse il doverlo continuamente ripetere che ho per il capo”
Non mi attiravo simpatie, e neanche ci tenevo. Nulla ci accomuna, dunque restatevene pure con le vostre scope nel deretano, cornacchie spagnole!
La porta si aprì ed io balzai in piedi, pronta a guidare L’Angelo all’uscita... Ma la Mendoza si fece avanti a gomiti larghi, urtandomi, ed urtandomi apposta.
“Mercedes, cara, conversate con me”, interloquì una voce d’usignolo.
Era Emily Blunt.



I Suoi piedi toccavano terra e facevano rumore, dunque era umano.
Lo precedevo di qualche passo, il suo sguardo sulla nuca, tentando con scarso successo di far ondeggiar le gonne alla maniera che avevo appreso in Francia.
Ad un tratto, non sentii alcun rumore se non lo scalpiccio lieve delle mie pantofole di raso. Mi volsi, senza poter respirare.
Lui era qualche passo indietro ed in ginocchio, le mani giunte, il capo chino. Teneva le palpebre strette. Mi mossi, colpita dal fervore che emanava come da uno schiaffo in piena faccia.
“Milord”, esitai, e il coraggio non m’aveva mai fatto difetto prima di allora.
Lui aprì gli occhi cerulei nei miei e disse: “Nemmeno lo sfarzo dei paramenti e le piaghe di quel simulacro possono distogliermi, ormai. Ma una giovane giunta in ritardo, gli occhi d’un blu intenso da sembrare quasi nero… ecco, non ho più potuto pregare.”
Il mio cuore mancò un battito, posso giurarvelo, mia Elizabeth. Allungai il collo e gli posai le labbra sulle nocche. Lui balzò in piedi ansante, come se l’avessi morso.
“Un uomo come me non sarebbe neppure tenuto a levare lo sguardo su una donna come voi”, disse con foga e, senza attendermi, infilò l’uscita.
Anche se non poteva essere più diverso, aveva adoperato le medesime parole di Wyatt.



“Lady Anna, un visitatore per voi”, annunciò una servente. “Milord Percy”
Quante volte mi aveva visitato negli appartamenti di Caterina? Più di dieci, certamente. Avanzò con tutta la tracotanza del suo rango.
“Lady Anna, la vostra beltà adombra quella delle stelle”
Dio, come si poteva sopportarlo? “Vi burlate di me, milord”
“No! Come potete seguitare a ritenerlo?!”
“Poiché in Francia tanto ardimento andava alla promessa, e a lei sola”, mentii, tra gli ansiti inorriditi delle mie colleghe.
La trappola era scattata e Percy ci sarebbe finito dentro, dal quel grosso cinghiale che era. “E voi non siete forse la mia promessa?”, disse, infatti. “Non vi ho forse rivolto più cortesia che ad ogni altra? Se è di un riconoscimento formale che siete in cerca, eccolo, mia sposa. Parlerò oggi stesso a vostro padre”



“SGUALDRINA! Sgualdrina che non siete altro!”, gridava mio padre, con voce altissima. E intanto calciava, al mio ventre.
“Papà…”, tentò Giorgio.
“Zitto, figlio degenere! Quel moccioso è promesso alla figlia di Shrewsbury, la figlia di un conte!” Tommaso Bolena era paonazzo. “Il padre è furioso, WOLSEY E’ FURIOSO!”
Mi tirai su a carponi, perdendo sangue dal naso. “Il cardinale vuol vedere questa puttana! Maria, che fate lì impalata?! Rimettetela in piedi e datele un sembiante decente!”



Le lacrime scivolano mute sulle mie gote, impastandosi con il sangue. Maria mi tamponò il naso, angustiata. “A questo mondo non ci è concessa iniziativa alcuna, Anna”, disse stancamente. “Non a noi donne, quantomeno”
Confusa e umiliata dalla reazione di papà, faticavo a comprendere la reale portata del ginepraio in cui m’ero cacciata. Henry Percy era promesso a Mary Talbot sin dall’infanzia, per unire terre e titoli delle rispettive casate, entrambe devote al Cardinale Wolsey. Un accordo del genere non avrebbe potuto esser messo in forse senza conseguenze, avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto sapere tante cose, mia Elizabeth. Ma allora ero soltanto Nan De Boulland, una bambina che anelava di conquistarsi il papà.



Quale dimora privata avrebbe potuto essere più degna di Hampton Court per alloggiare il Cardinale Wolsey, Primo Ministro Del Regno? Lo sfarzo ostentato dell’ingresso riuscì ad intimidirmi, come avessi dodici anni e stessi entrando alla Corte di Francia. Il cardinale, invece, non mi incuteva paura alcuna, benché facesse di tutto per riuscirvi.
“Ho suggerito a vostro padre di mandarvi per un poco a casa vostra, in campagna”
“Un cambiamento d’aria non potrà che giovarmi”
“Infatti. Vi vedo livida, mia cara”
Bastardo! L’odiavo al punto che l’avrei ammazzato.
“Tom, ci lasciate, non è così? Vogliate cortesemente scortare Milady Bolena all’uscita”
L’Angelo si materializzò da un angolo, lontano e buio al punto che non m’ero avveduta della sua presenza. Wolsey mi congedava senza un saluto? Facesse pure, tanghero tracotante!
M’inchinai e seguii L’Angelo, che procedeva a passo di marcia. Perché?
“Tom?”, osai. “Thomas?”
Lui girò sui tacchi e per poco non finii col naso contro il suo petto. “Vi rendete conto di quel che avete fatto?!”, ringhiò. “Avete sollevato un scandalo da rovinarvi, non avessi interceduto per voi con Wolsey!”
Poteva intercedere? “Sono il suo secondo segretario”, precisò. “E mi ascolta più del primo”
Dunque era un avvocato! “Potete aver di meglio che un bove tutto titoli e niente cervello”, seguitò. “Usate la vostra intelligenza: chi vi resta a far scudo, sotto il tiro delle chiacchiere?”
Mio padre no davvero. Giorgio? Un debole, dedito al vino e ai lazzi.
“Io”, dissi con sorpresa. “Io soltanto”
“Vedo che siete intelligente. Un periodo lontano da Corte è quel che serve per chetare le acque, agli occhi del cardinale l’ho fatta passare per una punizione esemplare”.
Colsi nella sua voce qualcosa di più profondo dell’astio.
“Lo odiate?”, azzardai.
“Meno di quanto odio voi, comunque”
Trasecolai. “Mi odiate? Perché? Che v’ho fatto?”
Con le pupille forò le mie. “Non è quel che fate, è quel che siete: una femmina che suda, che geme, che esulta della mia lussuria. Perché è così che io vi vedo, ogni notte, da quella volta che vi guardai non visto nella chiesa”
Avevo la gola arida. Inghiottii, ma non smise di bruciare.



“Master Cromwell”, salutò mio padre, dall’alto del suo stallone corvino.
“Milord Ambasciatore”, ricambiò la mia scorta. “Questa faccenduola si dissolverà in una nube di fumo, non temete.”
“Saprò sdebitarmi”
Thomas Cromwell mi porse la mano per aiutarmi a salire in carrozza; anche attraverso il guanto potevo sentire il calore della sua. Gli occhi cerulei erano pieni della voglia più antica del mondo.
E li ricordo ancora.



Mia adorata Elizabeth, dalla più angusta tra le celle della Torre li sento chiamarmi strega e puttana. Li sento intorno al vostro candido orecchio, lacerato dal loro gracidio.
Per questo scrivo.
Scrivo per sovrastare le loro grida, perché afferriate con le manine la verità e ve la teniate ben stretta, da quella bambina caparbia che ero anch’io. Ma Voi non siete intemperante come me e per intelligenza superate persino Enrico, già lo vedo. Per questo avrete compreso che non mi diedi a Thomas Wyatt né prima delle nozze con il Re Vostro padre né tantomeno dopo. Non mi diedi a Wyatt, né a Norris né a Brereton né tantomeno a Giorgio mio fratello, come la Parker e molti altri accusano, ben sentiti da Vostro padre e dal Primo Ministro del suo regno, Thomas Cromwell.
No, non mi diedi neanche a Thomas Cromwell. Lui non mi volle.



E così non resta che Enrico, l’uomo che sedussi e che, da sedotto, seppe a sedurmi a sua volta, il re che da niente mi fece Marchese e poi Regina, il signore che quando già Vi portavo in grembo volle unirsi a me in matrimonio. Kramer m’ha informata che oggi quel signore gli ha imposto d’invalidare ufficialmente tale sacramento, facendo di Voi una figlia illegittima. Ma ha giurato altresì che veglierà su di Voi e sulla nostra giusta Causa, per tanto porrò nelle sue mani questa mia, scritta perché all’età opportuna sappiate che le ingenuità di bambina, in questo mondo dominato da uomini, si pagano, e si pagano sempre.
Kramer ha giurato e voglio credergli, Elizabeth. Forse perché una donna prossima al patibolo ha bisogno di credere che anche in questo mondo dove al nostro sesso non è consentita iniziativa alcuna alberghi un po’ d’umanità… o forse perché, nonostante tutto, sono rimasta Nan De Boulland, una ragazza sciocca.








 
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marie.
view post Posted on 14/5/2011, 22:30




Ma è bellissima! Come scrivi bene °__°
 
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me?anneboleyn
view post Posted on 21/5/2011, 12:53




Grassie! Sono tanto contenta che ti piaccia ^_^
 
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2 replies since 8/5/2011, 22:27   80 views
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